an arsenio bravuomo production 2002 - corretta infine il 17.09.2002

daccapo oppure parlami

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è venuto il compleanno di bertrando, e io mi sono recato mesto e guasto alla festa che avrebbe dovuto sorprenderlo.
è venuto il suo compleanno, un dì di aprile inoltrato, insieme al freddo che mi sentivo fin nelle ossa, un freddo roccioso e liscio, come solo si prova toccando una roccia erosa da un torrente a pelo d'acqua in alta montagna. ho guardato gli amici riuniti per lui, o per chissà cos'altro, e non riuscivo a vederli. mi dicevo nella testa, tremante dal freddo, "dove siete? non lasciatemi solo, siete anche amici miei", ma tremavo e nessuno si accorgeva di me.
nessuno si è accorto di quello che mi passava per la testa, o forse io sono un paranoico all'incontrario.
io c'ero per quel che riguarda ossa, budella e peli del naso. non è nemmeno che tutto il resto di me mancasse all'appello. solo della mia mente da un pezzo non ho più notizie...

ha appena compiuto trentanni, bertrando. ha appena acquistato il suo monolocale, doccia piccola, letto soppalcato. ha appena dato la festicciola per inaugurare e il monolocale, e il suo ingresso negli enta. è molto orgoglioso del suo monolocale. entrando ci trovate spiaccicata sul muro la frase seguente: siamo solo un suono di sassofono suonato da un vecchio suonatore di sassofono.

bertrando, quando ha comprato questo monolocale ha voluto che ci fossero più finestre possibile. praticamente tutta una parete non è altro che una grande grandiosa finestra. perché, dice bertrando, la nostra è una generazione che sta a guardare.

ha dovuto metterlo a posto, certo, ci ha speso dei bei soldini. il proprietario precedente doveva essere un sessantottino, visto che come pavimento aveva posato un linoleum stile sanpietrino. non che non piacesse, sia il sessantotto, sia il sanpietrino. era solo che bertrando voleva moquettare tutto, anche il bagno. "porcaccia miseria", diceva, "possibile che nel duemilauno non esiste una moquette impermeabile?" alla fine l'ho convinto a palquettare tutto. bagno compreso.

ci sono pochi mobili. non ha bisogno di mobili, bertrando. dice che interrompono la linearità delle pareti. eppoi ha tutte le pareti occupate dai libri, tremila, libro più libro meno. un terzo se li è comprati, un terzo li ha avuti in eredità e i restanti li ha rubati nelle varie librerie e cose così, tipo regali.

ma torniamo alla festa.
per sfuggire il freddo, ho bevuto vino bianco e nessuno che si sia accorto del mio stato simildepresso o insomma tale da non avere una bella cera, come si dice.
potessi solo dormire, mi dicevo, guardando quei miei amici, riuniti senza sapere come, senza sapere perché, ognuno comunque tutto preso dai suoi problemi e dalle sue personali aspirazioni o acne post-giovanili. nessuno che fosse lì proprio per festeggiare bertrando, me ne sono accorto. e attenzione, non mi sto lamentando di questo, anzi, non me ne frega niente. lo sappiamo io e bertrando quel che è importante. il fatto allarmante è che fra tutti quegli amici, nessuno di loro è capace veramente per un secondo di smettere di pensare alla sua, di vita. ma sembra che mi sto lamentando e non voglio proprio dare questa impressione. quindi ho mollato il vino bianco e ho attaccato il gin di marca, che mi sviluppa 40 gradi.

quanta magia c'è, in un bicchiere di vino bianco? (certo non quanta ce n'è in due, bicchieri di vino bianco)

così se n'è venuto il compleanno di bertrando, e io me ne sono stato tutta la sera accrocchiato su un divano, sprofondato nelle mie pessimistiche e pessime osservazioni degli amici miei che esternavano tutto il loro vuoto e se lo certificavano l'uno con l'altro. per non parlare delle ragazze. e infatti non ne parlo. anzi, ne parlerei pure, ma non una che sia venuta a corteggiarmi...
e non c'era nemmeno buona musica, questa sera. la musica mi è entrata nella testa da sinistra, senza passare dall'orecchio, perforando direttamente la scatola cranica e trovandosi insomma la strada da sola.

gli amici mi facevano tutti pena, nella loro inconscia inutilità, nella loro totale inconsapevolezza, nella loro universale insipienza delle cause, dei come e dei perché.
c'era solo ania che grazie alla sua schiettezza è stata in grado di farmi piacere, perché non sapeva di preciso cosa ci facesse lì, come un povero chatwin da bassifondi, e me lo diceva. e l'ho guardata, ania, mentre si concentrava, prendeva la mira e mi schioccava un bacio, proprio lì, sul bersaglio vicino all'angolo dell'occhio. ma tutto quello che ha saputo dirmi è stato: "ti vedo ingrassato con i capelli corti".

allora ho preso e sono andato verso il dj, o pseudotale, e ho messo su "like a rolling stone" nella versione di bob dylan, e ho preso commiato definitivamente dalla vita di ania.
e basta.

avevo due funerali dentro al cuore, ma mi toccava di divertirmi, con quella banda di insensibili. la mia generazione di insensibili. ma ho deciso che forse potevo giocarmi l'ultima carta: appartarmi. così, pieno di rimpianti e panini mezzo smozzicati, mi sono seduto sul pianerottolo, mentre di là oltre la porta di casa del mio amico bertrando, la sua festa di inaugurazione si consumava fra schiamazzi e musica. al mio fianco, a volte, a volte in mano, il bicchiere di gin, metafora della vita che si svuota, il mio compagno fedele. fedele ma finito.
se ci penso c'erano tutte le persone di cui mi importava qualcosa in quel monolocale, doccia piccola, letto soppalcato. e io me ne stavo lì, rinchiuso fuori dai miei stessi desideri.
la mia vita non va affatto bene, no no.

ma alla fine bertrando ha ringraziato e chiuso la porta dietro all'ultimo festeggiatore (poi ne abbiamo scoperto un ultimo+1, collassato nel bagno). io ho avuto appena appena la forza di buttarmi sul divano e fuori la luna mi occupava metà finestra grande grandiosa. ne vedevo due di lune, ma questo è un dettaglio. bertrando era felice. aveva una copia della felicità disegnata sul volto.

così io mi sono lasciato andare a una serie ininterrotta di considerazioni sulla mia generazione di perdenti. la generazione limbo, né carne né pesce. ignavia dantesca generazione. ascoltando le conversazioni stasera ho capito che la mia generazione è la generazione dell'approssimazione. dice cosa per dire quasi tutto. la povertà lessicale ci contraddistingue, mentre abbondiamo di slang. mischiamo slang sempre più rarefatti. certo non una roba tipo quella di burgess, quello di clockwork orange (quello è uno slang tutto artistico e perfetto, nel suo genere, artefatto e misurato fino al millimetro). i i nostri slang sono scassoni, casuali e settari.
se scrivessi un libro sulla mia generazione lo intitolerei brainless generation.

ma lo volete sapere un segreto? non esiste la mia generazione.

il concetto di generazione è un'invenzione dei sessantottini. per quei tipi lì tutto eschimo e pugno chiuso c'è stata solo la loro. che poi i sessantottini sono stati una minoranza. erano quelli che potevano permettersi l'università. i miei genitori avevano l'età giusta per la contestazione proprio nel '68, ma mica me l'hanno mai raccontata, la contestazione. a loro è passata sulla testa come un leggero rumore di sottofondo. mia madre a stento sa di cosa parlo. eppure lei c'era.

tra lune doppie e bicchieri della staffa, insieme a bertrando abbiamo filosofeggiato sdraiati per terra sul palchetto, dicendoci che siamo gente senza una storia da raccontare. è un guaio della nostra generazione, abbiamo detto. la nostra è una generazione che sta a guardare. e io sono uno particolarmente bravo a stare a guardare.

la frasedelgiorno è (un poco sdolcinata, ma l'ho scritta seduto sugli scalini, avendo freddo e pensando a un calore migliore, per prenderla con un barlume di eleganza):

ho tolto il coperchio
al pentolone del mare
davanti a quel luccichio d'alba screpolata
e un cielo così basso
da sbatterci la testa

un poco di sabbia gioviale
sopra un foglietto di speranze
come i ricordi macchiati
di quell'inverno
ripiegato su se stesso

e io che passo via ancora un poco.

dormivi e non volevo disturbarti.
sognavi
e volevo esserci anch'io

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