è venuto il compleanno di bertrando, e io mi sono recato
mesto e guasto alla festa che avrebbe dovuto sorprenderlo.
è venuto il suo compleanno, un dì di aprile inoltrato,
insieme al freddo che mi sentivo fin nelle ossa, un freddo roccioso
e liscio, come solo si prova toccando una roccia erosa da un torrente
a pelo d'acqua in alta montagna. ho guardato gli amici riuniti per
lui, o per chissà cos'altro, e non riuscivo a vederli. mi
dicevo nella testa, tremante dal freddo, "dove siete? non lasciatemi
solo, siete anche amici miei", ma tremavo e nessuno si accorgeva
di me.
nessuno si è accorto di quello che mi passava per la testa,
o forse io sono un paranoico all'incontrario.
io c'ero per quel che riguarda ossa, budella e peli del naso. non
è nemmeno che tutto il resto di me mancasse all'appello.
solo della mia mente da un pezzo non ho più notizie...
ha appena compiuto trentanni, bertrando. ha appena acquistato
il suo monolocale, doccia piccola, letto soppalcato. ha appena dato
la festicciola per inaugurare e il monolocale, e il suo ingresso
negli enta. è molto orgoglioso del suo monolocale.
entrando ci trovate spiaccicata sul muro la frase seguente: siamo
solo un suono di sassofono suonato da un vecchio suonatore di sassofono.
bertrando, quando ha comprato questo monolocale ha voluto che
ci fossero più finestre possibile. praticamente tutta una
parete non è altro che una grande grandiosa finestra. perché,
dice bertrando, la nostra è una generazione che sta a guardare.
ha dovuto metterlo a posto, certo, ci ha speso dei bei soldini.
il proprietario precedente doveva essere un sessantottino, visto
che come pavimento aveva posato un linoleum stile sanpietrino. non
che non piacesse, sia il sessantotto, sia il sanpietrino. era solo
che bertrando voleva moquettare tutto, anche il bagno. "porcaccia
miseria", diceva, "possibile che nel duemilauno non
esiste una moquette impermeabile?" alla fine l'ho convinto
a palquettare tutto. bagno compreso.
ci sono pochi mobili. non ha bisogno di mobili, bertrando. dice
che interrompono la linearità delle pareti. eppoi ha tutte
le pareti occupate dai libri, tremila, libro più libro meno.
un terzo se li è comprati, un terzo li ha avuti in eredità
e i restanti li ha rubati nelle varie librerie e cose così,
tipo regali.
ma torniamo alla festa.
per sfuggire il freddo, ho bevuto vino bianco e nessuno che si sia
accorto del mio stato simildepresso o insomma tale da non avere
una bella cera, come si dice.
potessi solo dormire, mi dicevo, guardando quei miei amici,
riuniti senza sapere come, senza sapere perché, ognuno comunque
tutto preso dai suoi problemi e dalle sue personali aspirazioni
o acne post-giovanili. nessuno che fosse lì proprio per festeggiare
bertrando, me ne sono accorto. e attenzione, non mi sto lamentando
di questo, anzi, non me ne frega niente. lo sappiamo io e bertrando
quel che è importante. il fatto allarmante è che fra
tutti quegli amici, nessuno di loro è capace veramente per
un secondo di smettere di pensare alla sua, di vita. ma sembra
che mi sto lamentando e non voglio proprio dare questa impressione.
quindi ho mollato il vino bianco e ho attaccato il gin di marca,
che mi sviluppa 40 gradi.
quanta magia c'è, in un bicchiere di vino bianco? (certo
non quanta ce n'è in due, bicchieri di vino bianco)
così se n'è venuto il compleanno di bertrando, e
io me ne sono stato tutta la sera accrocchiato su un divano, sprofondato
nelle mie pessimistiche e pessime osservazioni degli amici miei
che esternavano tutto il loro vuoto e se lo certificavano l'uno
con l'altro. per non parlare delle ragazze. e infatti non ne parlo.
anzi, ne parlerei pure, ma non una che sia venuta a corteggiarmi...
e non c'era nemmeno buona musica, questa sera. la musica mi è
entrata nella testa da sinistra, senza passare dall'orecchio, perforando
direttamente la scatola cranica e trovandosi insomma la strada da
sola.
gli amici mi facevano tutti pena, nella loro inconscia inutilità,
nella loro totale inconsapevolezza, nella loro universale insipienza
delle cause, dei come e dei perché.
c'era solo ania che grazie alla sua schiettezza è stata in
grado di farmi piacere, perché non sapeva di preciso cosa
ci facesse lì, come un povero chatwin da bassifondi, e me
lo diceva. e l'ho guardata, ania, mentre si concentrava, prendeva
la mira e mi schioccava un bacio, proprio lì, sul bersaglio
vicino all'angolo dell'occhio. ma tutto quello che ha saputo dirmi
è stato: "ti vedo ingrassato con i capelli corti".
allora ho preso e sono andato verso il dj, o pseudotale, e ho messo
su "like a rolling stone" nella versione di bob dylan,
e ho preso commiato definitivamente dalla vita di ania.
e basta.
avevo due funerali dentro al cuore, ma mi toccava di divertirmi,
con quella banda di insensibili. la mia generazione di insensibili.
ma ho deciso che forse potevo giocarmi l'ultima carta: appartarmi.
così, pieno di rimpianti e panini mezzo smozzicati, mi sono
seduto sul pianerottolo, mentre di là oltre la porta di casa
del mio amico bertrando, la sua festa di inaugurazione si consumava
fra schiamazzi e musica. al mio fianco, a volte, a volte in mano,
il bicchiere di gin, metafora della vita che si svuota, il mio compagno
fedele. fedele ma finito.
se ci penso c'erano tutte le persone di cui mi importava qualcosa
in quel monolocale, doccia piccola, letto soppalcato. e io me ne
stavo lì, rinchiuso fuori dai miei stessi desideri.
la mia vita non va affatto bene, no no.
ma alla fine bertrando ha ringraziato e chiuso la porta dietro
all'ultimo festeggiatore (poi ne abbiamo scoperto un ultimo+1, collassato
nel bagno). io ho avuto appena appena la forza di buttarmi sul divano
e fuori la luna mi occupava metà finestra grande grandiosa.
ne vedevo due di lune, ma questo è un dettaglio. bertrando
era felice. aveva una copia della felicità disegnata sul
volto.
così io mi sono lasciato andare a una serie ininterrotta
di considerazioni sulla mia generazione di perdenti. la generazione
limbo, né carne né pesce. ignavia dantesca
generazione. ascoltando le conversazioni stasera ho capito che la
mia generazione è la generazione dell'approssimazione. dice
cosa per dire quasi tutto. la povertà lessicale ci
contraddistingue, mentre abbondiamo di slang. mischiamo slang sempre
più rarefatti. certo non una roba tipo quella di burgess,
quello di clockwork orange (quello è uno slang tutto
artistico e perfetto, nel suo genere, artefatto e misurato fino
al millimetro). i i nostri slang sono scassoni, casuali e settari.
se scrivessi un libro sulla mia generazione lo intitolerei brainless
generation.
ma lo volete sapere un segreto? non esiste la mia generazione.
il concetto di generazione è un'invenzione dei sessantottini.
per quei tipi lì tutto eschimo e pugno chiuso c'è
stata solo la loro. che poi i sessantottini sono stati una
minoranza. erano quelli che potevano permettersi l'università.
i miei genitori avevano l'età giusta per la contestazione
proprio nel '68, ma mica me l'hanno mai raccontata, la contestazione.
a loro è passata sulla testa come un leggero rumore di sottofondo.
mia madre a stento sa di cosa parlo. eppure lei c'era.
tra lune doppie e bicchieri della staffa, insieme a bertrando abbiamo
filosofeggiato sdraiati per terra sul palchetto, dicendoci che siamo
gente senza una storia da raccontare. è un guaio della nostra
generazione, abbiamo detto. la nostra è una generazione che
sta a guardare. e io sono uno particolarmente bravo a stare a guardare.
la frasedelgiorno è (un poco sdolcinata, ma l'ho
scritta seduto sugli scalini, avendo freddo e pensando a un calore
migliore, per prenderla con un barlume di eleganza):
ho tolto il coperchio
al pentolone del mare
davanti a quel luccichio d'alba screpolata
e un cielo così basso
da sbatterci la testa
un poco di sabbia gioviale
sopra un foglietto di speranze
come i ricordi macchiati
di quell'inverno
ripiegato su se stesso
e io che passo via ancora un poco.
dormivi e non volevo disturbarti.
sognavi
e volevo esserci anch'io
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