stanotte ho sognato un racconto. cioè, invece di sognare
un sogno, ho proprio sognato le parole, ho sognato di scriverlo,
il racconto. allora mi sono detto: se ti metti a scrivere pure mentre
dormi, o mentre sogni, insomma, addirittura in posizione orizzontale,
allora sei proprio un maledetto balengo di scrittore.
ho sognato così:
salire sul tram. arancione. cercare il biglietto. aprire il portafoglio.
sfogliare gli scomparti. trovare il biglietto. tram pieno di scolari.
spostare gli zainetti. spostare ancora gli zainetti. reggersi agli
appositi sostegni. reggersi. ancora reggersi. con calma, piano,
reggersi. e obliterare. curva. obliterare. obliterare e reggersi,
cazzo! figurarsi se 'sta cazzo di macchinetta funziona. cercare
un'altra obliteratrice. asciugare il sudore. qualcuno apra un finestrino.
così un vecchio tutto intabarrato mi prende per mano e mi
tira e siamo su una spiaggia bianca e lui mi tira fino giù
agli scogli. adesso deve essere mattino presto, l'aria fredda mi
intirizzisce nel costumino, perché io son io bambino.
il vecchio guarda lontano. io lo guardo dai miei occhietti piccolini
di bambino guardare lontano. poi si gira verso di me e piange. piange
e guarda lontano, più guarda lontano più piange, cosicché
io gli passo la mia paletta per giocare nella sabbia che tengo nella
manina mia di bambino. il vecchio sorride e dice: "vai a trovare
un albero e parla con lui, parla con l'albero".
poi mi son svegliato. sudato. e ho scritto questo:
c'è un muro bianco di mattoni
e una finestra poverella
triste chiusa su di sè
e quell'albero imponente
trafitto dal sole sibilante
e un bimbetto che gli parla
nei pantaloni goffi larghi buffi
di tutti gli avi che porta in viso
mio figlio
poeta dell'intimo riso
immerso nell'eco di libri
o polverosa memoria eccitata
e citata dai versi ricolmi
d'ebbrezza e poca sicurezza
su quello che il vecchio
dirà al cuore del bimbo gentile
lo sguardo perso nel poco che sa
e il ditino a imporgli il silenzio.
mi accorgo che per tutto questo tempo non ho fatto altro che pensare.
pensare al futuro. a quello mio e a quello dell'umanità.
nessuno dei due si è rivelato poi molto interessante. bevo
gin scadente e mangio pane e tonno. a pranzo e cena.
digito, leggo riviste di informatica e credo proprio che non passerò
mai al riconoscimento vocale. mi toglierebbe il gusto di pestare
sui tasti. (è un'attività più orientata alla
musica). invariabilmente mi addormento di schianto, sul divano,
vestito, con le scarpe e tutto e la sensazione di essere sempre
giunto alla fine. il lavarmi i denti è un ricordo lontano.
la camicia che indosso è la stessa identica da non so quanto,
e mi fa quasi piangere, dall'odore...
poi finisce che dormo male e poco o mi sveglio presto, non va proprio
bene. in compenso mi sono messo a scrivere anche la mattina, tipo
adesso. (e non è niente male scrivere mentre il sole mette
il naso fuori). è proprio vero che scrivere, nella vita,
è l'unica salvezza (a parte la birra).
c'è un letto in riva al mare
e una fila di bambini
con in mano bigliettini
ognuno con su scritto
il nome di un amore
perduto fra lenzuola
e onde e soli che vanno via
un milione di miglia avanti
c'è un letto in riva al mare
e amori che aspettano la fine
e tutte le volte che sono stato male
e non avevo una donna a cui pensare
nemmeno una donna a cui pensare
è salita la marea
c'è il letto in mezzo al mare
con me sopra che non so nuotare
e una fila di bambini sulla spiaggia
che agitano bigliettini
di amori che mi salutano
da un milione di miglia passate
interpretazione dei sogni: il bambino ero io. il vecchio
ero io. lontano ero io.
la frasedelgiorno è:
"E quant'è lunga una vita, tra le luci
di un'autostrada." (Vinicio Capossela)
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