quel che ho bevuto oggi non mi soddisfa affatto.
il fatto è che io ho sempre pensato sette o otto pensieri
alla volta. sempre avuto la testa piena di pensieri io. una volta
manco me ne accorgevo. mioddio, non pensate a pensieri tutti
particolari, tipo quelli che potevano passare dentro schopennauer,
goödel o turing. no, roba normale, roba da partorire in cinque
minuti non di più. dal momento in cui ho scoperto di avere
tanti pensieri in testa contemporaneamente la mia vita non è
stata più la stessa. se ci pensate è una cosa abbastanza
infernale. l'ho scoperto circa dieci anni fa, dopo aver letto "frammenti
di un insegnamento sconosciuto", edizioni astrolabio, roma.
percorrevo corso Principe Oddone in bici, era maggio, e cercavo
di ricordare me stesso e di non esprimere emozioni negative,
e cercavo di apprendere dal mondo, dalla natura e dal sole che mi
abbagliava sulla destra, e per un attimo ebbi una specie di illuminazione:
tutto fu chiaro per me (e non era solo un abbaglio del sole appena
sopra l'orizzonte, sulla mia destra). un momento dopo tutta la chiarezza
era sparita, ma nella mia testa era sbocciata e perdurava consapevolezza
del flusso di pensieri incessanti che l'attraversa, sette o otto.
e soprattutto: uno è sempre una canzone.
da dieci anni vivo sostanzialmente con una canzone in testa, non
sempre la stessa per fortuna. ho la vita con la colonna sonora incorporata.
a volte è una canzone che ho appena sentito, a volte salta
fuori da sola. e se cerco di cacciarla fuori dalla mia scatola cranica,
lei niente, anzi, aumenta il volume. è un po' come pensare
con le orecchie. a volte è imbarazzante: voglio vedervi a
cercare il metodo migliore per integrare di una funzione trigonometrica
in campo complesso mentre nella testa nek vi canta caterina
non c'è.
così ho cominciato a bere per tentare di diminuire il numero
di pensieri che contemporaneamente mi scorrevano nella testa come
un fiume che straripa. lo so cosa state ridacchiando: non ha funzionato
granché. ok, è vero, ma io ho continuato a bere lo
stesso.
tanto io mi dico: non diventerò mai un alcolizzato, perché
sono totalmente privo di istinto autodistruttivo. ma ho capito adesso
che non c'entra un cazzo l'istinto autodistruttivo con l'essere
alcolizzati. non è proprio come la droga. ecco se c'è
una cosa per cui sono invece drogato sono i libri. non posso passare
davanti ad una libreria del centro senza entrarci e comprarmi un
tascabile. il fatto è che poi me lo leggo pure, voracemente
e velocemente, di modo che posso ritornarci subito a comprarne un
altro.
le librerie mi piacciono soprattutto quando sono piene fresche di
nuovi arrivi, edizioni nuove, ristampe appena uscite, insomma quando
puzzano di brand new stuff. quando non so più che
cacchio scrivere mi faccio un giro per il centro e bazzico qualche
libreria delle mie, e vedi che me ne vengono poi di cretinate da
scrivere...
per esempio stasera me ne vagavo con un andamento un po' baluba
per le viuzze della mia città storica, benedetta, ed
ero già abbastanza carico di gin puro. strascicavo i piedi
più che camminare, cercando di rilassare muscoli e pensieri,
un libro in mano tenuto come un'arma, un'arma distesa lungo la gamba,
come appena estratta dalla fondina e subito dimenticata a puntare
verso il basso. "non devo farmi influenzare troppo dal linguaggio
altrui" mi dicevo. i tram passavano, tossicchiando. (ci sono
libri che a leggerli è come guardare il cielo. poi ci sono
libri che a leggerli è meglio guardarlo, il cielo, ma questa
è solo una digressione. chiamatemi dottor divago...)
a tratti mi incuneavo in un anfratto di un muro di palazzo barocco
e con gesto misurato, nonostante ci vedessi doppio, svitavo il tappo
della fiaschetta, buttavo giù un lungo sorso e poi la sentivo
tutta, nelle viscere, nel cervello, dai piedi su per i pantaloni
fino al colletto della camicia, la sentivo tutta la degradazione
di quel gesto, tutta la degradazione di un gesto misurato ma tenuto
nascosto, di un gesto vergognoso, un gesto che ti getta istantaneamente
ai margini, un gesto reietto, un gesto in fondo che esprime solitudine
e appartenenza, appartenenza ad una schiera di gente sensibile in
una certa maniera, e non in un'altra. fino a che mi ritrovo ad urlare
in piazzetta carignano: "eccomi che arrivo, vecchi pazzi barbosi
e rompipalle, arrivo col mio carico di sfighe, di birra e canzoni,
arrivo e vi rovino la vita, brutti vecchi ubriaconi
"
il resto è che mi inciampo in non so cosa, cado, e rimango
lungo tirato per terra a guardare che fine ha fatto la mia fiaschetta
e vedere con orrore che sta versando tra un sanpietrino e l'altro
tutto il suo contenuto di bellezza e trasgressione e vergogna. poi
non so come mi sono trascinato a casa. sul tram mi chiedevo che
cosa fosse quella tremula sensazione in tutto il corpo? mi sentivo
l'anima shackerata insieme agli ingredienti del... margarita. forse
avrei dovuto bermi pure l'anima, con un pizzico di sale sulle dita
e una fettina di limone da succhiare, dopo.
sono rientrato dalla porta di casa mia in uno stato comatoso dell'ottavo
grado della scala mercalli e in quello stato ho filosofeggiato:
"nessuno mi ha ancora provato che è più reale
la realtà che percepisco da sobrio rispetto a quella che
percepisco adesso. è solo tutto più molle, ma chi
mi assicura che quella là è la realtà, e che
non è questa qua? chi? chi me lo assicura? qualcuno salti
fuori a darmi una prova!" e cercavo di dare manate all'attaccapanni.
lo so già, ma apro il frigo speranzoso di trovarvi qualcosa
da bere. non c'è più niente, a parte una mezza bottiglia
di limoncello.
guardo quel liquido giallo e penso che è la mia unica fonte
di vita rimasta.
brindiamoci su.
la frasedelgiorno è:
"Vorrei parlare con mia moglie" gli ho detto.
"Non è più tua moglie, Barney. E tu in compenso
sei ebbro".
"Ebbro". Certo, cos'altro può dire uno come lui.
"Intendi sbronzo? Ovvio che sono sbronzo. Sono le quattro del
mattino".
(Mordecai Richler, La versione di Barney, Adelphi)
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