dobbiamo scriverne, di sopra un tetto tutto di tegole rosse, di quando s'era stati a 'n passo dal cielo, dobbiamo scriverne, alla ricerca della perfezione del negroni, ma senz'esagerare
1.1
"Noi non dobbiamo scrivere della perfezione.
Dobbiamo scrivere del continuo disperderci che c'è in noi, delle
nostre imperfezioni, delle nostre vite, che ci attraversano e noi manco
ce ne accorgiamo, della nostra memoria debole e fallace. Noi dobbiamo
scrivere per ricordarci di quanto siamo schifosi e mediocri, di quanto
i nostri gusti siano perlomeno discutibili e la nostra dignità
in vendita al miglior offerente. Dobbiamo scrivere di tutte le nostre
presunzioni, la prima delle quali è la presunzione di avere una
sensibilità, di averne una funzionante intendo. Dobbiamo
scriverne, certo, ma senz'esagerare."
(Maximilien Roccam de Pasteur, Parolame)
"io son l'ubriacone qui. son anche un po' un guardone, ma voglio bene a tutti. ho i miei idoli pagani, son un tipo spirituale io, ma la mia spiritualità si ferma, diciamo così, al terzo piano (quello degli uomini ordinari).
ho una deformazione o due, niente di fisico per fortuna, ma ho la deformazione, per esempio, di passare il tempo a scrivere, io, e a bere, a bere un po' tutto quel che passa il convento. sto in un club, potrei dire, praticamente son il presidente, "noi, quelli sempre col taccuino in una mano (e un bicchiere nell'altra)".
ah. qui sarebbe casa_coppino. tre piani, più piano rialzato, più sottotetto, più cantine, ad un angolo di una via estrema di borgo vittoria.
sono anche il fallito, qui, quello che a trentanni è sempre lo stesso stronzo, di sempre, quello che ha buttato il tempo, quello che non ha raggiunto gli obiettivi, e pare pure non abbia mai scritto niente di decente..."
e fin qui.
sarebbe l'inizio del romanzo che mi son messo in testa di scrivere, perché
mi son detto "arsenio, scrivi da quando avevi dodiciànni
e manco ancora hai scritto un coso, come si dice, un romanzo, propio,
dall'inizio alla fine". così ho preso gli appunti accumulati
in tutti gli anni e mi son messo in testa di scriverlo finalmente, dall'inizio
alla fine, 'sto cazzo di romanzo.
ah, ma volevo dire, per incominciare, vi volevo chiarire subito un concetto facile facile, cosicché poi non mi si vien a dire che son d'un certo tipo che non sono e non voglio dimostrare d'essere, mi si viene a dire poi. allora: levatevi dalla testa che io son qua a intrattenere. se volete 'esser intrattenuti, 'ntrattenute, fate che andate al cinema, 'ncollatevi davanti alla tv, leggete un libro d'ammaniti, con quante emme e enne volete, ammannittite, fate quel che vi pare, ma non venite a lamentarvi da me se questo che scrivo io è roba d'intrattenimento no. il concetto è facile facile, che potrebbe averlo scritto pure quel tal scrittore che a bologna vede tutto rosso, cassonetti della spazzatura, rossi, cassette delle lettere, rosse, autobus, rossi, eccetera, rossi. propio.
detto questo, bòn, pausa. propio (senza l'erre)
e infatti lo facevo continuare così:
"son tipo un evangelista del terzo piano, io.
in principio era il taccuino, e la penna biro era presso di esso, e io ero presso di loro.
una trinità da cartoleria, propio."
ma poi ho cambiato idea, non mi piaceva più, 'sta storia della trinità del terzo piano... così mi son detto "arsenio bravuomo, devi partire dalla trama. i cosi, comesichiamano, i romanzi, si scrivono top-down, non bottom-up.
così stavo pensando alla trama, propio, quando mi son accorto
tra le immagini tremolanti della mia tv scassata (e di ripararla non
se ne parla) che mi incominciavano i simpson.
bòn, mi son detto, pausa.
(poco lontano, una donna con in braccio un neonato fissa il cielo, e anche il neonato lo sta a fissare, come se il cielo avesse perso di senso, come se si fosse spalancato, ma solo per loro due, come se solo loro due in tutto il mondo riuscissero a guardare dietro le quinte del cielo)