l’essere e il professionista

la comunità degli artisti è fatta per lo più di arrivisti
 (in senso buono)
ma forse sto dicendo una stronzata
gli artisti non hanno alcuna meta in testa
  è tanto che abbian il barlume di qualcosa in nella testa
ma no’ è questo

ricomincio

la mattina del giorno venticinque di dicèmbrio
 dell’altezzosa fango neve discesa a clichè nei giorni scorsi
c’è no più traccia no
e invece c’è il sole e c’è il cielo
 e il sole è giallo
 e il cielo è azzurro
esattamente di quei colori che usavi alla scuola elementare
 dove ti insegnavano le cose base della vita e della cultura
foglia gialla, foglia marrone, cielo azzurro, tetto tutto di tegole rosse
il fumo dal camino
in volute
 il gerundio l’indicativo
il trapassato prossimo
  scolpire un coniglietto da un foglio di alluminio con un cucchiaino

l’albero di natale quando lo disegnavo da bambino di scuola elementare
 mi veniva sempre storto di da un lato,
  eppoi ho mai capito come disegnare le ghirlande,
mi sembravan sempre fuori posto
  e le palle
le palle me le dimenticavo sempre
  e la maestra mi ricacciava al posto dicendomi: ma non è finito

forse è per questo che l’albero di natale mi lascia indifferente
anzi un po’ mi rompe i coglioni

per fortuna eran gli anni di piombo
 la mia maestra ha mai insistito tanto col presepe
infatti non ce lo faceva disegnare mai
concetti base della vita e della cultura

ho appena letto un pezzo di carlo molinaro
 grondante di acqua di doccia da venticinque minuti
(io, no molinaro)
  sì, venticinque minuti mal contati, più probabilmente di più
(che ti lamenti? non mi lavo mai, una volta ogni quindici giorni, potrò almeno farmela durare no?)
dicevo molinaro ha scritto questa vecchia tiritera di natale
credo sia una cosa sulla solitudine e sullo scrivere
  più sullo scrivere credo e sulla giovinezza bastràda
 son le cose che preferisco
che io capisco cosa vuol dire mettersi alla macchina parolatrice e premere
e premere premere e pigiare e pestare e picchiare e mitragliare e martellare
  i tasti abbandonandosi alla musica dei propri pensieri (o degli stereophonics, certo)
 e la musica dei tasti, il casino che facevano e mia madre che mi sgridava la sera
  che non si scrive la sera che fai tutto ’sto casino, mia madre, la sera
 e mi sovvien l’eterno ricordo della mia prima macchina da scrivere olivetti
beige, ricordo no il modello, cioè, a vederla la riconoscerei, ma so no se era una lettera qualche cosa
 certo era no una underwood
o similar popolare (nel senso di famosa)

anche se la mia prima vera tastiera è stata quella di un commodore vic20
 tastiera meccanica come poche ibm poi
corsa lunga
 ìncavo perfetto
e sotto il culo un processore con pochi kappa di memoria
 ma bastante per processare giochi di topi in labirinti
  che cercano formaggio inseguiti da gatti di sprite di pochi pixel per pochi

la solitudine è un fatto fisico
 son da solo su quest’ascensore, visto che son l’unico occupante
ed è un fatto sociologico
 son solo in mezzo alla folla
ed è un fatto sociale
 conosco nessuno a questa festa
ed è un fatto d’igiene
  puzzo talmente che nessun mi s’avvicina
ed è un fatto di psiche
  qualcuno m’ama ma c’è no
oppure, certo, è mon pen dans ma maine
ma non posso sempre buttarla in sega
 così dirò che la solitudine è quando hai proprio più niente da scrivere
tipo ora
‘ddio

Pubblicato da

arsenio

m'han nomato bravuomo un giorno e da quel giorno io me lo tengo, quel nome. arsenio mi son nomato da solo. eccetera.

Un commento su “l’essere e il professionista”

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