coinquiline

durante la dodicesima volta che si guarda four weddings and a funeral, dico:

- eh, a volte mi dispiace d’esser arrivato al capolinea.
- che capolinea?
- il capolinea con la sfilza di donne.
- con la sfilza di donne?
- cioé a dire che dopo di te, nisba.
- ma cosa vai vaneggiando vaneggione?
- ah certo, fai presto tu a non far pensieri del genere…
- uh?
- eh, te sei una donna.
- …
- fai presto te.

son ancora ubriaco

son ancora ubriaco questo pomeriggio, nonostante la promessa.

ho le palle fredde, le sento con la mano, son ghiacciate. c’è da dire che ho sempre avuto mani incandescenti io. ma pare sia una roba fisiologica questa degli spermatozotici da tenere in frigorifero, altrimenti friggono e muoiono.

c’è gus van sant in fronte a me, sfocato, sapete, cowgirls, bonanza jellybean che muore di tra le braccia della sua confraternita lesbo. uma piange.

son riuscito a rollarmi una sigaretta appena, malamente, di tabacco troppo forte per i miei, di gusti.

mi disperdo in chiacchiere m’arriverà a casa questa sera, esausta di lavori e tutto, e mi troverà tappeto sul pavimento, una mano sulle palle a frigger spermatozotici, e nell’altra sempre la bottiglia. e avrò intorno alla testa ancora un paio delle sue mutande fresche usate, per sentire il suo profumo, ‘ rendere il mondo un posto di meno schifoso.

nella notte

nella notte
ch’è come morirsi addosso,
seppellirsi di sotto del proprio stesso cadavere
propio
vi son accanto, blogformisti,
a morir un po’ di meno
(po’ con l’apostrofo)
giusto per sentirvi meno soli
le notti che vi tocca miagolare
tipo come avanzi di comare
rimaste senza peyote da fumare
e un poetry slam da sindacare
male
ché due poesie son poche
e le altre che si posson dire
poi
no’ mi dite ‘ son troppe
in sovrannumero
più che altro
più per l’altro
  arbitro giudice

(pausa)

m’è che la popolazione di poesie
  mondiale
va sul morendo andante a male
così perchè non darci dentro con brio
anche solo in certi eventi fortunati
  compresenti d’un certo pio voce
    ‘ccompagnati
e la mia gola truce a versificare
come di strafòro
  d’una musica
‘ppoggiata sbilenca sapida
  (nella notte)
     tipo coro
(sipario)

voglio una donna commestibile

voglio una donna commestibile
coi coloranti, inenarrabile,
i peli in nel naso, nubile,
che sappia di fango atavico,
con sòtto il ph basico
e un tozzo linguaggio afàsico
che sia di notte abùlica
e la mattina alcòlica
del mio svegliarmi sbronzo
di quel resto di retto fallico
appiccicato gonzo
al suo cesto di pelo candido.

voglio una donna, meretrice,
etnica e cinica in tutto quel che dice,
che prenda in parola il complice
mio guardarla giust’in tralice
quando si gusta beata il duplice
sentore caldo di cazzo e pollice.