è notte, è notte, è notte.
è torino. è torino. è torino.
pedalo e penso che ho contratto dei debiti per farmi installare in casa l’ultimo grido in fatto di zanzariere.
pedalo e considero che a torino, serrati improvvisamente i murazzi, una gran parte degli esemplari della specie tamarra non ha fatto altro che colonizzare san salvario e zone limitrofe.
mi aggiro sudato e in ambasce per via baretti in un umido e triste sabato sera di luglio. la femmina che mi piace è incontattabile. o dorme. in largo saluzzo mi si affianca una golf del 2004 con lo stereo a palla che suona “il più grande spettacolo dopo il big bang siamo noi, io e te”. decadenza. penso a margherita hack e trattengo controvoglia le doverose lacrime. la decadenza. da giovane volevo vivere la decadenza ma non la trovavo da nessuna parte. da vecchio la decadenza è venuta a vivere da me.
c’è pieno di belle ragazze che nessuno si baccaglia. se ne torneranno a casa fasciate dai loro vestitini presi in saldo oggi pome senza nessuno che chieda loro a fine serata di toglierseli, danzando.
in corso vittorio pedalo contromano e avrei smesso di fumare ma alle rare persone che incrocio cerco di scroccare una sigaretta. la maggior parte manco mi guarda, tutti me la negano. è troppo tardi. per un bravuomo come me dico. è troppo tardi. non c’è più salvezza. per un bravuomo.
è troppo tardi. è troppo tardi. è troppo tardi.
i morsi non li sento nemmeno. i morsi. della fame.
d’innamorarmi non se ne parla. figuriamoci sentire i morsi della fame.
i fanali rumorosi delle auto, sinestesici, odorano di morte. io in fondo mi sento uno sconfitto. non ho problemi ad ammetterlo. pedalo contromano. nel tratto ciclabile davanti all’ex carcere, mentre evito per un soffio il solito frontale con una ciclista in shorts di jeans a vita alta (francamente qualcosa di troppo anni ottanta anche per me), penso che oramai, a torino, d’estate, non si vede uno straccio di zanzara da cinque o sei anni.