il centro di detenzione supersegreto nel quale sto ambientando il mio prossimo romanzo, una cosa di fantascienza distòpica e visionaria, non ha celle e carcerieri. è tutto fatto di prati verdi. ma sta su un pianeta che non è la terra. non è il nostro puzzolente, devastato, azzurro blu, pianeta terzo del sistema solare. ed è supersegreto, il centro di detenzione per malati mentali. quasi nessuno sa arrivarci.
niente.
c’è stato il LitCamp2009, che per rispetto all’ortografia a cammello dei wiki che si rispettano, scrivo con elle e ci maiuscole.
niente.
e allora mi son detto scriv’un post arsenio. scrivilo, via. con tutti i link precisi, via.
eh.
ma cosa lo scrivo affare?
l’han già scritt’in tanti. ‘ me la ridondanza, ‘le volte. (e mi danno, mi danno fastidio, ’sti apostrofi alla rovescia, ma son pigro di trovare l’entity html giusta eccazzo)
e non è che io non dica grazie. ché poi sembra che io non leggo le cose che si scrivon in giro (ok, è vero, per la maggior parte delle volte non le leggo, e non è che son snob, mi piacerebbe, ma no, è che son pigro, propio, propio pigro). però poi a questo giro qualcosa ho letto e mi son detto: han detto fatto tutto loro. loro tutto loro, fatto, han. via.
io son qui che combatto con questo senso che mi sento solo. ché qui senso è da legger come sensazione. sense and sensibility (no, niente, è che assonava).
son qui che combatto col sudore dello star seduto al sole con le mutande da ginnastica di maglina colorata e le calzette incrostate d’adidas puzzolenti. da buttare. le adidas.
son qui che penso che dovrei scriver robe intraducibili. soprattutto nel mondo anglosassone.
son qui che aspetto i subs di breaking bad s02e11.
son qui che mi dico che mai più, mai più, mai più tre cose sul litcamp:
1. mai più che me ne vengo giù a barcampàre senza il bibitone all’arancia spremuta e gin e ghiaccio nell’ex bottiglia del tè alla menta, marca sanbernardo (tappo largo, ci passa il cubetto ‘ ghiaccio);
2. mai più un litcamp durante la fiera, il salone, il cazzo, del libro. se la gente vuol venire che ci venga indipendentemente;
3. mai più partorire una bimba a che mancano due mesi dal litcamp
3 e un pezzo (per restar nella conta). mai più un litcamp senza luciano bianciardi.
vorrei riuscire a scrivere una canzone che bob dylan mi canterebbe volentieri, che mi prende da parte, mi prende, da parte, con un braccio mi circonda le spalle, io sento il suo profumo di pervinca che nasconde la puzza di anziano, di croste e dita rugose, mi prende da parte e mi dice, ehi gudmàno mi piace quest’ultimo tuo testo, posso di farci su una canzone? (che nei miei sogni scritti bob dylan parla come me, abbonda con le preposizioni, e mi chiama gudmàno, nel senso anglosassone di bravuomo).
e io che ho gli occhi pieni di lacrime brillanti gli dico di sì, anzi non glielo dico, annuisco solo e lui annuisce pure, si vede ch’è contento, si porta una sigaretta di tabacco alla bocca, e io frugo nella tasca e gliel’accendo col bic rosso piccolo da novanta centesimi di euro.
poi bòb, ché oramai son in confidenza e lo chiamo bòb, mi dice però non ho capito di cosa parla questo tuo ultimo testo, è interessante, ma ho no capito di cosa parla.
non lo so di cosa parla, bòb, forse parla del senso della solitudine, nel senso della sensazione, della solitudine. nel senso del senso della sensazione. forse parla di jokerman. e tremo e mi mancano le parole.
niente. non so.
che scrittore del mènga.
vorrei.
il protagonista del mio prossimo romanzo di distòpica fantascienza parla sdraiato dal centro d’un prato del centro di detenzione interplanetario fatto di prato verde, e racconta di come è finito in un centro per malati mentali. è qualcosa che ha a che fare con il trattamento delle femmine. di come si trattano le femmine, il mio prossimo romanzo che sto scrivendo dal balcone in pieno sole che se ci avessi i pannelli solari ci alimenterei questo mac con cui ci scrivo le cose. sapete le cose?
allora, questo sarebbe un post scritto d’arsenio.
sì.
sì sì sì sì sì sì sì sì.
sì sì sì.
sì sì.
sì.
‘
(e per i link vedi friendfeed)