non un granché come pensiero

oggi pomeriggio, sdraiato sul tappeto
 con la testa sotto a il divano
un ikea fuori produzione vagamente stile anni ‘70
quando ho sentito la fitta in petto
 ho pensato solo che il cielo era di un azzurro che lèvati
solo questo ho pensato
  un azzurro che lèvati
mentre una mano da cestista di due metri e venti
 (per dire, una manona)
 mi spappolava il cuore da dentro la cassa toracica mia
e io ho fatto quel solo pensiero
  un azzurro che lèvati
non un granché come pensiero
lo ammetto, lo.

ho spento la sigaretta sul tappeto
 un ikea tutto verde tipo prato super economico
ho tirato fuori la testa da sotto a il divano
e col gomito ho rovesciato il bicchiere di campari e vino bianco

la fitta come è arrivata se n’è andata
 palleggiando con la mia vita
e io allora ho solo sperato che la prossima canzone in rotazione
 in diffusione di per la stanza
tutta piuttosto ikea super economica
  fosse a thousand kisses deep
di leonard cohen

lo so no se sono ubriaco
 oramai non capisco la differenza
anche la mattina di due giorni dopo
ho questo grigio topo nella testa e il giramento di giostra
e sento la serotonina bassa
 e dico e sparo e spargo cazzate come quando son nel pieno
mi sento nella nebbia
mi sento che vivo nella nebbia
 nel grigio
e nel topo viola
 della mia personalissima trinità
 un terzo gin un terzo campari un terzo vermouth rosso

poi lo so
 qualcuno si starà chiedendo
  com’è che vedevi il cielo, bravuomo
 con in la testa infilata sotto a il divano?

la risposta
 a chi si fa una domanda del genere
 ben’
la risposta
 che se l’immagini

propio come pollicino polliciò

(questo pezzo è un’arsenizzazione del testo di bob dylan “just like tom thumb’s blues“, quindi si capisce leggendo il testo originale e vivendo nei pressi di dove vivo io)

quando sei perso nella pioggia ironica di santo salvario
 senza briciole a guidarti
 ed è pure pasqua e sei fuori orario
e la gravità ti sembra aumentata
come pure la negatività no’ s’è ancora data
datti meno arie se finisci a bere davanti al diwan cafè
ci son femmine affamate su tacchi di laggiù
che ne fan polpette piccole dell’erotico che c’è in tu

poi dopo adesso dopo poi al terzo negroni
 prendi e vai al ciadello dello sbarco a fare scherzoni
e per favore ringrazialo molto il locale
pure se non riesci a muoverle le dita
 tutte annodate in un nodo e con la gola lolita
 ch’ ha bevuto un tot
e ce la fa quasi no a prendere su un altro shot

poi incroci il tuo amico, il dottore
che ti parla in un orecchio e ti dice
te l’avevo detto di non bere
  cocktail di puro suino
cammina corri non fare l’asìno
che proprio adesso lesta sta passando la dolce melinda
 paesana mia e divina e vestita da autoblinda
lei che parla un quartierese buono
la fermi con un gesto avventuroso
 e lei t’invita su in camera tua
e sei così gentile e premuroso
che mica ci vai subito e che coglione che sono
cosicché mi prende e mi mette da parte
manco fossi un gelido portafortua
  posato in un angolo ad abbaiare rauco a la luna

e su per i vicoli dell’imbarchino valentino
chissà come finirà, in gloria, in fama, in vino
ma devi prenderne un po’ di ognuno, fratello
sebbene nessuno di loro sia quel che credi
 a livello di fardello

così passi giù a prender la beatrice
 (la bella che credi a tutto quel che dice)
e ti fa
 meglio tornare in vanchiglia
che lì i vigili fan meno multe
 o li puoi addirittura multare tu
fino al settimo grado di famiglia

ma resisti poco e torni in qua
 e vedi fuori tutte le autorità del barrio
  (san salvàrrio)
cantautori, fannulloni, musicisti, fanfaroni, attori, registi,
 poeti a carrettate
  poetesse con mutande ricamate
baristi dagli sguardi tristi
proprietari di locali e locatari
negri piccoli e bari
tutt’intenti a vantarsi d’esser ricattatori
  e pallini e meridionali
pronti a coprirti le spalle in caso di guai personali
ma come ingiurii e sfidi su quanti dopo te ne scolo
  ti giri e vedi che t’han lasciato solo
 nell’amaranto buio della notte dei pestaggi
dei bevuti e degli amori addobbati come ostaggi
degli sguardi rubati ai clown di strada
 pronti al prono darsi alla butàda
  dell’averne a basta, di sambuca
perché alla fine, caro luca luca,
  i’ non son altro che un prete rasta
che assolve risolve ulula e scongiura
risolto solo a finire i torsoli d’ una vita araba
 e sorbire la staffa al riparo da’ colpi proibiti sotto la cintura
in quel buco colmo di calma e amici
 meglio noto come
 al bazura

notti bianche

di tutte queste notti in bianco
 e bianche di neve
ho dormito mai nè dolce nè amaro
 e nemmen salato, s’èpperquello,
m’ ho preferito starmene in su il balcone al gelo
  gelato
a fare aneliti di fumo infranti
 e incantato
dal ricordo dei momenti
nostri paurosi, per me,
 ma sempre pieni di contatti
telepatici e infanti

femmina del terzo tipo

lei era una femmina da incontrare ravvicinata
  al mattino presto oppure mezzo
 era una femmina del terzo tipo
 di quello speciale molto
che per dire
 se la carta igienica era stampata su un solo lato
lei la usava da quell’altro

a mezzogiorno le dissi
dai spogliati tutta
 tutta meno una maglietta
risciaquati la faccia e asciugala con quella
 girati e chinati ribalda
  mostrami quelle tue gambe
  incrociate a mo di cialda

lei era una femmina da collezionare
 come una collezione di panchine senza schienale
 una pioggia di canzoni senza diritto d’autore
una flotta di navi senza timoniere

un pomeriggio ero lì che pensavo
a tutte le lettere d’amore che ho scritto
  e vanificato
a causa della mia pessima calligrafia,
e ai pomeriggi spesi a corteggiare una luna
  che non c’è mai stata
 e sprecati,
a causa della mia pessima abitudine
di sprecare i pomeriggi,
quando ad un certo punto mi disse
tu dovresti tenermi stretta
  come non sapessi fare altro
appiccicarti al mio petto
 come se quello fosse il solo tuo posto

poi mi guardò fisso negli occhi
 e fuori si spensero tutti i lampioni
ma la luce, per me, era rimasta uguale

lei era una femmina con un doppio corpo astrale
 con le scarpe ruvide
  e le mani cònsone
non mi parlò quasi mai
suonò per me, danzò per me
 guardammo qualche stella
e anche se ci incontrammo vicino
 ai nostri precedenti vecchi consigli
abbarbicati
  tremammo l’un l’altra nella notte
un sacco
 abbracciati

this shit

la nottata

anche questa è passata
 di nottata
e la pizza surgelata al solito l’ho messa in forno
 e l’ho abbandonata dimenticata carbonizzata
un disco nero
 il fumo in casa, porco diavolo
io addormito con la testa di sopra il tavolo

il bilancio a questo giro è che
 ho invidiato quelli che fan le canzoni
 perché hanno la musica dalla loro parte
e posson far un gran bel casino con le chitarre e tutto il resto,
ho rovinato il baccaglio a un amico nuovo
ho fatto litigare con una bella ragazza un altro amico, non nuovo,
 poi son caduto con la bici,
 senza esserci sopra a pedalarci tra l’altro,
ho un gomito tumefatto, il destro,
un ginocchio internamente ballerino, il sinistro,
ho perso il tabacco, l’avevo in tasca, lo trovo più no,
 infine son stato arrestato e incriminato per sega colposa
ma son stato assolto perché non c’era coscienza nè volontà*

(e comunque, sappiatelo, alle volte dolorosa, alle volte spigolosa,
  ma alla fine la sega è sempre dolosa)

poi magari uno nel ritornando e nel barcollando
 ha uno sprazzo di lucida lucidità, di limpida limpidezza
 e magari uno si sente perso
 ma in verità vi dico
  non ci si può perdere
non ci si può perdere no
  perché non ci sono strade da prendere
perché non c’è nessuna strada da trovare o da ritrovare
 perché c’è un’unica sola strada
e ci stai camminando sopra proprio adesso

è questa vita ch’ è così,
l’alba è il mezzogiorno,
 il giorno è la notte,
l’acqua è il grandi negri,
il cibo no,
 l’amaro amare è dolce

ma debbo darmi una calmata, lo so

d’ora in poi porterò sempre con me nel portafoglio
una foto di luciano bianciardi
 con quella sua faccia lì che non ti vuol guardare
  che non ne vuol sapere

d’ora in poi indosserò sempre una medaglietta
 tipo cane
con su il mio indirizzo
e che si mette a suonare allarmata
  quando che afferro il terzo grandi negri
(facciamo il quarto, via)
e poi s’ illumina e c’è su scritto
“se m’illumino, per favore, strappagli quel bicchiere
   e porta a casa questo immenso
 stronzo”

gli amici miei sono avvertiti

son appezzi e
debbo darmi una calmata, lo so,
  prima che del tutto mi disperda
 ma purtroppo mi sa che forse
  è che l’adoro
questa merda


* ringrazio il magistrato (di cui non conosco il nome) che qualche sera fa mi ha insegnato i concetti di sega colposa e dolosa

amoràzzo

non è che per caso, per qualche cazzo,
 non è che qualcuno ha visto il mio amoràzzo?

lo so,
 so, lo,
  che rima del menga,
che rima facile, mi dici,
 ma visto che te sei facile no
almeno la rima
  lasciamela dire
 lasciamela fare
facile

è che ieri mangiavo la maionese con il tonno
  a cucchiaiate
 quando mi son detto
che bontà
 quando mi son detto
  te dove sei finita?
quando mi son detto
ma checcazzo
 vado fin a cercare il mio amorazzo
e come ci vado?
per caso a ràzzo?
 rima facile
almeno quella, ripeto, non mi rompere

allora mi son detto
 io questo viaggio me lo faccio con la bici
ché son un tipo in fondo che ama pedalare
ho voluto la bicicletta
 e adesso ho bucato
  l’appuntamento col destino, tuo

ora sto su quest’ autostrada
 a mille chilometri dalla meta
e pedalo
 e non potrei farlo,
 nel senso,
  m’ha affiancato un camion
 con su sopra un bòb dylan qualunque
 che m’ha detto
guarda che t’arrestano, in bici sulla highway
e io di rimando
 come parli bòb, highway? really?
eppoi prima mi devon prendere

e mi son alzato in piedi in su i pedali
lasciandolo sul posto

la strada è libera ed è davanti
 ed è libera davanti
 e di dietro
tutti quanti
  mi stan’ a guardare
scalmanarmi per un nonniente
per due gambe e un’impermanente
 taglio di capelli
ma che mi piace da morire
 corti morbidi color del crepacuore

al casello dei tuoi occhi di tutti i colori (o quasi)
 ho tagliato di per un prato
così una volante m’ha inseguito
  con su un bòb dylan qualunque
 ma mi son alzato in piedi in su i pedali
lasciandoli sul posto

gli uccellini cantano
 e mi cagan sulla testa
cerco riparo di tra i cespugli
  a lato della carreggiata
ma son spine
ma son ortiche
 e lo so che con la parola ortiche
  si fa presto a far la rima facile

poi per un tratto di bretella
 m’ ha affiancato un triciclo
  con su sopra un bob dylan qualunque
vestito con un chiodo e niente sotto
 e mi superava e mi tagliava la strada per farmi finire di sotto
dalla rampa del viadotto
 e agitava la chitarra sulla testa
  pestando i piedi su i pedali del triciclo senza mani
cercando di colpirmi di taglio la faccia
 urlandomi
gudmàno, come ti senti adesso, eh?
com’è adesso che ti senti, eh?
dai rotola! rotola! rotola giù!

maledetto bòb qualunque
 ci dico
  beviamoci una cosa dai
che porca madosca
da quant’è che lo facciamo no?
 tutta questa sobrietà finirà per ammazzarci,
ci dico
e lui a me
minchia gudmàno
 riesci manco a star dietro a un settantenne
 con la chitarra in una mano
io di oggi ho già bevuto di abbastanza

così ci siam fermati vicino al ciglio dell’autostrada
 l’ho guardato pisciare
  l’ho ammirato
  che portamento! ho pensato
  che prostata!
e son ripartito

il sole era lontano
 la meta era lontana
  il tramonto mi tramortiva
’ son fermato all’autogrill
  manco un posto apposito per legare la bici
preso il panino al salame
 uscito
’ ruttato
’ ripreso il mezzo a pedali
’ guardato l’avanzo d’autostrada
  e tutti i cazzi e gli amorazzi
mi son alzato in piedi in su i pedali
e li ho lasciati lì sul posto